Spider-Man: Un Nuovo Universo

Da anni chiedevo, speravo, sognavo in un film sui supereroi che riportasse il genere alle origini, con quel precario equilibrio tra originalità, tradizione e divertimento che è tanto difficile da realizzare quanto potente ed espressivo se ben realizzato.

Spider-Man: Un Nuovo Universo è la risposta alle mie preghiere.

Ancora più straordinario, lo è mantenendo, al contempo, anche uno stile assolutamente eccezionale di cui non esistono simili, almeno in queste due decadi di risorgimento degli adattamenti cinematografici dei fumetti. E, a memoria, anche negli anni precedenti si può contare solo qualche raro analogo esperimento (ma non di altrettanto successo) sulle dita di una mano.

Ma andiamo con ordine.

La storia raccontata è sostanzialmente l’archetipa coming of age di cui Spider-Man si è fatto modernizzatore: un ragazzo scopre di essere speciale, ma un dramma scuote la sua nuova vita, e dovrà crescere e trovare il suo nuovo posto nel mondo. Niente di nuovo: la formula funziona da secoli, ed è solo questione di esecuzione. Se però gli altri Spider-Man cinematografici seguivano Peter Parker (dai film di Raimi ai due recenti reboot), qui invece il protagonista è Miles Morales – che, va sottolineato, è una invenzione recente anche nei fumetti, con la sua prima apparizione nel vicino 2011.

E lasciatemelo dire: Miles è decisamente più interessante di Peter Parker. Sicuramente l’effetto “novità” è un fattore determinante – ormai di Peter abbiamo visto quasi tutto, almeno un paio di volte: la morte di Zio Ben, il morso del ragno, il bacio a testa in giù con Mary Jane, Goblin, e così via. Di Miles, invece? Praticamente nulla. È quindi una piacevole sorpresa conoscerlo e vederlo crescere per la prima volta in assoluto. Miles ha anche il vantaggio di avere sicuramente del carisma da vendere, complice un netto cambio di background culturale, che assieme alle origini afroamericane porta anche un quartiere multi etnico, con la sua musica, graffiti, tradizioni, abitudini.

A differenza dei film precedenti, il racconto di formazione copre praticamente l’intero arco narrativo. Se Raimi lo relegava a un veloce montaggio di cinque minuti o poco più e nel più recente reboot viene praticamente lasciato fuori schermo, qui invece è essenziale allo sviluppo della trama. Miles diventa davvero Spider-Man solo nell’ultimo atto. Certo, i rischi sono potenzialmente maggiori (tutti abbiamo in mente quel particolare film che si trascina e trascina e non finisce più), ma vengono fortunatamente qui evitati con grande abilità.

Merito che, senza dubbio, è in buona parte dovuto all’avvincente e interessante cast di personaggi secondari. Dai familiari di Miles, agli Spider-Man dalle altre dimensioni (in particolare Spider-Gwen e lo Spider-Man Noir), sono tutti assolutamente credibili e realistici, con uno spessore e complessità nettamente superiore alla media Marvel, DC e Disney. Qualità che condividono anche i cattivi, a partire dall’eccellente Kingping (ben più imponente e minaccioso dell’altrettanto ottima rappresentazione nelle serie Netflix) e i suoi vari aiutanti e collaboratori.

Menzione speciale merita Peter Parker: il film giustifica perfettamente la sua svogliatezza nel ruolo di mentore di Miles, e ci mostra un lato di Spider Man a cui non siamo decisamente abituati.

La trama, a cui spetta il compito non semplice di fare da collante a tutti questi personaggi con storie e background completamente diversi e costringerli a interagire tra loro, è relativamente semplice e lineare, ma non per questo banale e ripetitiva. È anzi una ventata d’aria in questo mare di film iper complicati senza motivo (un po` come, qualche anno fa, lo era stato Mad Max), e lascia assolutamente soddisfatti all’uscita dalla sala.

Su tutto domina, ovviamente, l’originalissimo stile grafico. Sembra di assistere ad un fumetto portato alla vita: luci vibranti, colori saturati ma non eccessivi, aberrazioni cromatiche, momenti over the top, e gli occasionali simboli e onomatopee (qualche KABOOM o PSSS) che fanno da padroni spezzando il ritmo. Le linee sono nette e il disegno preciso, seguendo la scuola moderna, pur lasciando infiltrare qualche stile diverso, in particolare in associazione agli Spider-Man provenienti da dimensioni più “esotiche”. Per accentuare l’effetto fumetto, i momenti più “calmi” come i dialoghi sono presentati con un framerate visibilmente minore, per poi tornare a una perfetta fluidità non appena inizia l’azione – può dare fastidio per i primi minuti, ma ci si abitua piuttosto in fretta, e apprezzo il tentativo di agire sugli aspetti più tecnici del film.

Il reparto sonoro è anch’esso di perfetta esecuzione. Gli effetti e la musica accompagnano senza una stonatura il ritmo del film, e anzi sanno andare a braccetto con ogni singola alterazione stilistica. Anche il doppiaggio mi ha lasciato soddisfatto – cosa che, di questi tempi, è più unica che rara.

Sopra a tutto, non posso non ripetere che Spider-Man: Un Nuovo Universo è divertente. Non è solo un esercizio di stile, o una trasposizione pagina per pagina di un fumetto: ha un suo cuore, una sua anima, e ha il coraggio di osare e lanciarsi nell’ignoto laddove altri sarebbero rimasti con i piedi su terra solida. Con successo indiscusso.

In definitiva, ci troviamo di fronte al miglior film sui supereroi degli ultimi anni, e probabilmente nella mia top5 di sempre. Oltre a, quasi sicuramente, il miglior film d’animazione dell’anno.

Voto Finale: 9/10