Imparare il Cinese (汉语): i miei primi 3 mesi

Finito l’inverno e finito il corso introduttivo alla lingua cinese che ho seguito, è arrivato il momento di tirare le somme. Spero che questo (lungo) resoconto possa essere utile a chi voglia similmente dedicarsi all’impresa. Ho diviso l’articolo in capitoli, per comodità di lettura se non interessa l’introduzione iniziale o si voglia controllare un argomento in particolare.

  1. La scelta
  2. La scrittura
  3. Autodidatta?
  4. Strumenti multimediali
  5. Progressi, errori, difficoltà
  6. Conclusioni

La scelta

Con l’avvicinarsi dello scorso autunno, la mia sete di conoscenza iniziava a reclamare il suo spazio nella monotona routine quotidiana, che si ritrovava in quel periodo più libera del solito in seguito all’abbandono di World of Warcraft. Dopo (breve) dibattito interno, la scelta si era ristretta a due sole opzioni: imparare Python, o imparare una nuova lingua.

La vittoria è andata, come si può immaginare, alla seconda.

Certo è che, per un (ex)linguista, scegliere una lingua da studiare è tanto complesso quanto, per un panettiere, decidere dove e quale pane comprare, o per un pittore a quale nuovo stile dedicarsi. Le variabili in gioco sono numerose, e potenzialmente di forte impatto anche nel corso di fasi successive dell’apprendimento.

La prima questione era la vicinanza tipologica e/o storica della nuova lingua all’italiano o all’inglese (sono parlante nativo di una, e quasi dell’altra): la scelta facile sarebbe stata una lingua indoeuropea, come il tedesco (di cui ho già una leggerissima infarinatura scolastica) o lo spagnolo, ma non mi sembrava una sfida sufficientemente divertente. Non ero, insomma, nell’animo giusto per affrontare l’ennesima lingua flessiva, con il suo sistema verbale da sbatterci la testa contro e un pesante bagaglio di morfemi da portarsi dietro in ogni angolo.

Inoltre, le lingue indoeuropee non mi sarebbero, nel prossimo futuro, di particolare utilità. L’inglese consente ormai di viaggiare in quasi tutto l’emisfero occidentale, e non ho sufficienti interessi nel sudamerica da giustificare l’apprendimento dello spagnolo o del portoghese.

Tra lingue più “esotiche” i candidati erano numerosissimi. Scartato il russo per motivi prettamente geografici (è una lingua affascinante ma non un paese che mi aspetto di visitare nei prossimi dieci anni), ho infine ristretto la lista a Giapponese e Cinese.

Il primo ha senza dubbio notevoli meriti. Consumare anime e manga in lingua originale dev’essere soddisfacente almeno quanto lo è guardare film e serie TV americane e british (vero, Doctor?) senza doppiaggio, se non di più. Il Giappone è anche di una indiscussa bellezza, rivaleggiata da poche altre nazioni al mondo, pur se bilanciata da una cultura distantissima dalla occidentale a cui faticherei moltissimo ad abituarmi. Linguisticamente parlando, il giapponese ha, dal mio punto di vista, diversi punti forti: una fonologia semplice, sintassi caratterizzata da un ordine delle parole strettamente SOV (soggetto-oggetto-verbo), e un complesso sistema di onorifici che dimostra limpidamente l’inscindibile rapporto tra lingua e società. Il giapponese è inoltre una lingua agglutinante: collega cioè i morfemi alla radice attraverso affissi non modificati, a differenza delle lingue flessive che “fondono” i vari morfemi (per esempio, quelli che indicano genere, numero, categorie grammaticali, …) in un unico morfema flesso.

Il cinese ha meriti diversi ma altrettanto valevoli. La Cina è un paese assolutamente affascinante, enorme e con regioni diversissime tra loro. È in un fermento sociale difficile da trovare altrove, a cavallo tra passato e futuro. Ha una storia e cultura millenaria che rivaleggia (e supera?) quella europea, e un amore per il “mangiar bene” che non posso che condividere con tutto il cuore. Il cinese è la lingua analitica più diffusa al mondo: non si hanno né flessione né affissi, anche se viene mantenuto un ricco sistema di morfemi (la tendenza del cinese è verso l’agglutinazione, pur se lontanissimo ancora). La sintassi (la mia specialità) fa quindi da padrona, e lo si vede anche in una miriade di interessanti fenomeni secondari come pro-drop, verbi in serie, classificatori, e strutture topic-comment. È interessante anche foneticamente per l’uso di un sistema tonale, complicato dalla natura unicamente mono- o bi-sillabica delle parole. Il sistema di scrittura è assolutamente affascinante, anche se è (e sarà sempre) motivo di grossi grattacapi nell’apprendimento della lingua.

Non avevo ancora una scelta chiara in mente, pur favorendo leggermente il cinese. Per puro caso, una amica mi ha convinto ad iscriverci insieme a un corso introduttivo di cinese, ed eccoci qui.

E per la scrittura?

Il corso introduttivo scelto prendeva sul serio la designazione “introduttivo”, ma non mi aspettavo molto di più: proposto da una università del tempo libero, con una sola oretta e mezza a settimana, senza libri di testo, e dal costo decisamente contenuto, non poteva che essere un primissimo assaggio della lingua cinese. Sufficiente, però, per decidere se e come proseguire gli studi, il che era, alla fine, il mio obiettivo iniziale.

Non è trascorso molto tempo prima di affrontare l’ovvio scoglio dello studio della lingua cinese: la scrittura. Abituati come siamo a una (generalmente) stretta corrispondenza tra fonemi e grafemi, anche in casi limiti come l’inglese, studiare un sistema di scrittura logografico è indubbiamente un grosso salto.

Due cose (che ho scoperto velocemente) vanno sottolineate al riguardo. Primo, non bisogna confondere caratteri (logogrammi) con ideogrammi o pittogrammi: pur se in cinese antico molti caratteri ricordavano l’oggetto o concetto a cui si riferivano, questo non accade praticamente mai nel cinese moderno – vale a dire, non ci sono ovvi strumenti mnemonici per associare un carattere alla parola a cui si riferisce (nessun carattere a forma di occhio che vuol dire occhio, insomma). Secondo, per rappresentare la fonetica delle parole cinesi agli stranieri, viene utilizzato un alfabeto latino modificato chiamato pinyin, che nonostante diversi difetti consente per lo meno di traslitterare le parole e avere una idea generale della loro pronuncia, toni compresi.

Partendo quindi dal presupposto che non ha senso ignorare la scrittura a favore della sola produzione orale, apprendere il cinese significa passare continuamente attraverso multiple fasi, dall’apprendimento del significato di una parola, alla sua pronuncia aiutati dal pinyin, alla scrittura in caratteri, a differenza di lingue più simili all’italiano (come tutte le indoeuropee, incluse quelle che usano il cirillico), in cui la scrittura è quasi una scontata conseguenza della pronuncia. O, almeno, non è mai al centro dell’attenzione tanto da doversene preoccupare ogni singola volta che si impara una parola.

Da notare che anche i parlanti nativi cinesi si trovano di fronte a difficoltà simili: ai bambini vengono continuamente fatti copiare caratteri fino ad apprenderli con successo, con un notevole dispendio di tempo ed energie. Fortunatamente, da adulti abbiamo il vantaggio di aver studiato già delle lingue e possiamo ottimizzare il metodo di studio: quale è dunque la strategia migliore?

Mi piacerebbe rispondere con una soluzione perfetta, ma non posso. Il primo metodo che ho provato, e forse uno dei più interessanti, è quello proposto da James Heisig, inventato per il giapponese negli anni ’70. In Remembering Simplified Hanzi, vengono proposti degli strumenti mnemonici per ricordare i caratteri, ad esempio attraverso delle storielline o associazioni ad immagini. I risultati di questo e altri metodi di apprendimento a memoria sono innegabili, ma solitamente arrivano al prezzo di ignorare in buona parte o del tutto la produzione orale, arrivando anzi a suggerire l’apprendimento dei caratteri direttamente nella propria lingua nativa (想 sarà appreso come pensare e non come xiang) e solo in seguito iniziare ad associarli ai nuovi vocaboli.

Personalmente, dopo averlo provato per qualche settimana, lo ho abbandonato a favore di un approccio più scolastico, come quello proposto dal Cinese per gli Italiani e la grande maggioranza dei libri di testo. Imparare i caratteri in contemporanea a lessico, sintassi, morfologia e fonetica è indubbiamente molto più dispendioso e complesso, oltre ovviamente più lento, ma lo ho trovato notevolmente più naturale e piacevole.

Studiare i nuovi caratteri e ripassare i vecchi sarà quindi un continuo copiarli, scriverli e leggerli, meglio se inseriti all’interno di frasi di senso compiuto, aiutando il nostro cervello a realizzare collegamenti e automatizzare il riconoscimento. Gli esercizi di fine capitolo dei manuali sono ovviamente un ottimo punto di partenza, ma non bastano. Fa comodo anche utilizzare dei “mazzi di carte” – ma di questo parlerò più a fondo nella sezione sugli strumenti multimediali.

Pratica, pratica, pratica.

Va da sé che non ha senso aspettarsi una percentuale di successo nell’apprendimento dei caratteri, al termine di ogni capitolo o sezione tematica, pari a quella del lessico o della grammatica: io mi accontento dell’80% di caratteri imparati con successo prima di passare oltre, continuando comunque poi a ripassare i nuovi e i vecchi, specialmente se dimenticati (cosa che succede relativamente spesso).

Autodidatta?

Non è trascorso molto tempo prima che mi accorgessi che il corso introduttivo procedeva con una lentezza ben superiore di quanto avessi voluto. L’acquisto dei libri citati sopra e di un dizionario, assieme al download e impostazione di alcune applicazioni, mi hanno permesso di imparare al mio (più svelto) passo in parallelo al corso.

L’esperienza semi-autodidatta mi ha confermato che l’apprendimento della scrittura è, in buona parte, un processo personale ripetitivo e mnemonico, e che un insegnante può fare davvero poco per velocizzarlo. Similmente, lessico e grammatica sono assolutamente possibili da imparare autonomamente.

Resta ovviamente la produzione e comprensione orale. Il corso seguito non era tenuto da un madrelingua e affrontava in modo estremamente limitato la lingua parlata – un difetto che ho sicuramente sentito. Escludendo un soggiorno di studio in Cina, restano (io credo) due opzioni: un tutor, o il consumo di prodotti multimediali in lingua (o entrambi!). Ho imparato l’inglese soprattutto con il secondo metodo, e penso possa funzionare a dovere anche per il cinese. Vedremo. Intanto ho trovato la mia canzone cinese preferita:

Strumenti multimediali

Com’è ovvio, in rete è pieno di strumenti informatici per aiutare a imparare una nuova lingua. Ho evitato (per il momento) Duolingo e simili, di cui in genere non si trovano recensioni particolarmente entusiaste per il cinese. Mi sono più concentrato su strumenti di supporto all’apprendimento “tradizionale”.

La prima, vitale applicazione è un dizionario per smartphone. Rispetto alle versioni cartacee (chi le usa ancora nel 2019?) hanno innumerevoli vantaggi: possibilità di cercare da input multipli (pinyin, per radicali, disegnando sullo schermo, dalla fotocamera, …), ordine dei tratti, clip audio, e così via. Inutile dire che è stato lo strumento più utilizzato in questi mesi di apprendimento.

L’app da me scelta è stata Pleco. La versione gratuita è perfettamente funzionante (se si usa l’inglese: il dizionario italiano costa una decina di euro in più). Io ne ho fatto un uso così esteso da decidere di acquistare la (costosa) versione avanzata, che suggerisco pienamente. Tra le altre cose, con l’upgrade viene data la possibilità di usare un sistema di flashcard, utilissimo per imparare i caratteri: si aggiungono dei caratteri a dei mazzi virtuali, e l’app li propone casualmente in una serie di test ripetuti, aggiustandone la frequenza a seconda di quanto li si indovina (un carattere ben conosciuto sarà chiesto ogni paio di settimane, uno ancora da imparare più volte al giorno).

Flashcard per 怎么样

Un software per flashcard alternativo è Anki: gratuito, open source, estremamente flessibile, ha il solo difetto di non avere un dizionario integrato, rendendo più complicata la gestione delle carte e dei mazzi. Anche in questo caso, l’algoritmo del programma gestirà la frequenza delle carte a seconda dei progressi nell’apprendimento dei vari caratteri.

Sul web e nel play/app store si trovano, ovviamente, innumerevoli altri siti, corsi, applicazioni, video. Ne vorrei menzionare alcuni che ho trovato utili: per prima cosa la tabella a questa pagina, che ha un audio o un video per tutte le combinazioni possibili delle sillabe cinesi a partire dal pinyin; una wiki per la grammatica cinese in inglese, che per ora è stata abbastanza esauriente da non dover acquistare un libro di grammatica a parte; e il subreddit dedicato alla lingua cinese, che ha una bella sezione con risorse online, un bell’archivio di vecchie discussioni, qualche post interessante ogni tanto e una community molto disponibile.

Progressi, difficoltà ed errori

Com’è solito quando si impara una nuova lingua, i progressi non sono mai lineari. Ancor di più è vero per il cinese, e gli alti e bassi dell’apprendimento possono essere tanto incoraggianti quanto deprimenti.

Le prime settimane sono state molto fruttuose, in virtù senza dubbio del fatto che la sintassi cinese di base è relativamente semplice, specialmente per chi conosce già bene l’inglese (genitivo sassone e struttura degli aggettivi in particolare). La flessione, come dicevo, è sostanzialmente inesistente, e ci si può già avventurare nella costruzione di frasi con un lessico ridottissimo, con un ovvio boost all’autostima.

Il primo incontro con la scrittura non è traumatico, passando soprattutto attraverso il pinyin. Il grosso scoglio arriva quando si iniziano a studiare con maggior lena i caratteri, e ci si inizia ad accorgere che le forme che si avevano con ingenua precisione associato a una parola in realtà compaiono, con infinite variazioni e combinazioni, in moltissime altre. 女 significa femminile, ma 好 (che lo contiene) significa bene; 是 è il verbo essere, ma può formare moltissimi composti con un significato e una funzione sintattica completamente diversa (还是 è ancora/oppure, 但是 è ma, e così via). Ovviamente, l’unica soluzione è esercitarsi, lasciando che il contesto e la struttura delle frasi costringano il nostro cervello, col tempo, ad adattarsi ai pattern della nuova lingua – ma si sa, esercitarsi può essere frustrante e noioso.

La routine dell’apprendimento alternato lessico-caratteri-grammatica mi è entrata in testa, credo, verso il secondo mese, risultando in una evidente accelerazione dei ritmi di studio. Da notare che è attorno a questo periodo che avevo iniziato anche a utilizzare maggiormente il libro e soprattutto le flashcard di Pleco – non per forza le due cose sono collegate, ma direi che la timeline coincide.

Un altro consiglio che posso dare è condividere lo studio con un amico: oltre agli ovvi motivi legati all’apprendimento di una nuova lingua (confrontare la pronuncia, condividere dubbi, …), aiuta molto nella scrittura, dando la possibilità di interagire e mettere alla prova i caratteri imparati. La mia compagna di studio mi ha abbandonato (per motivi scollegati al cinese) a metà corso, e mentirei se dicessi che questo non ha avuto un impatto negativo sulla mia motivazione. Fortunatamente, riuscire ad avere le prime conversazioni (seppur scheletriche) al bar gestito da cinesi vicino a lavoro ha aiutato a recuperarla.

Al momento, l’errore che più rimpiango è la ridottissima enfasi che ho posto nello studio dei toni. Come accennavo nell’introduzione, il cinese è una lingua tonale: alla variazione di altezza del suono di una sillaba (pensate alla differenza in italiano tra eh?, eh! o eh) corrisponde un significato diverso, indicato, tra l’altro, anche da un carattere diverso nella scrittura. Per esempio, (妈) significa mamma, (麻) è canapa, (马) è cavallo, e così via. Certo, il contesto spesso aiuta, ma non è sufficiente – già sono stato corretto più volte da parlanti nativi perché una frase, pur sintatticamente corretta, non aveva senso a causa di toni sbagliati. Per molte delle parole che ho imparato nei primi due mesi non ho fatto particolare attenzione al tono, e sarò costretto, prima o poi, a rivisitarle e sostanzialmente impararle da zero. Consiglio quindi ai nuovi studenti di cinese (e delle altre lingue tonali, che in Europa sono solo, un po`, le lingue scandinave), di non tralasciare i toni come ho fatto io.

Un altro possibile errore è aver ignorato completamente i radicali, ossia le parti minime che compongono un carattere (ad esempio, in 怎,想 o in 您 si può individuare 心, che è il radicale cuore o anima). Mi erano stati presentati inizialmente solo come sistema per cercare una parola in un dizionario cartaceo, e utilizzandone uno multimediale mi sembrava superfluo impararli (sono circa 200). Confrontandomi con parlanti nativi ho notato invece che ne fanno uso frequente per descrivere caratteri (“quel carattere con i due tratti e il cuore”), e forse vale la pena conoscerli meglio.

Conclusioni

In questi tre mesi e poco più i miei progressi complessivi sono stati:

  • 200 parole (circa) che so scrivere perfettamente
  • 40/50 parole in corso di apprendimento
  • 300+ parole complessive che riconosco nella lettura
  • Un mezzo disastro nei toni, ma in fase di rimedio
  • Regole sintattiche e grammaticali di base apprese
  • Ancora molta difficoltà nell’ascolto
  • So ordinare con successo un caffè ad un parlante nativo
  • Un livello complessivo probabilmente tra A1 e A2

Il tempo dedicato allo studio non è stato moltissimo. A parte i 90 minuti settimanali di corso, ho cercato di lavorare un po` almeno una ventina di minuti al giorno, con occasionalmente tre quarti d’ora o un’ora intera. Pleco e le flashcard sono state estremamente utili, perché sono riuscito a infilare un veloce ripasso ovunque: andando a lavoro, in autobus, prima di dormire, durante la pubblicità prima del cinema, e così via.

Da notare che anche brevi pause di alcuni giorni sono state molto controproducenti e hanno richiesto diversi giorni solo per tornare al livello precedente – parlo ovviamente soprattutto del periodo delle vacanze natalizie. Meglio fare anche poco ogni giorno, ma con costanza.

In generale l’apprendimento del cinese è stato più piacevole di quel che pensassi, nonostante l’aspetto mnemonico più sostanzioso rispetto ad altre lingue. Spero di riuscire a trovare, nelle prossime settimane, qualche parlante nativo disponibile al dialogo, o magari un tutor o un corso più avanzato.

A fra qualche mese con un nuovo aggiornamento.