Sulla riscoperta di due perduti poemi Tolkeniani, e altre cose.

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Il Guardian annuncia la riscoperta di due poemi scritti da Tolkien nel 1936 – vale a dire, un anno prima della pubblicazione dello Hobbit, ma già due decenni oltre l’inizio della lunghissima fase di fervore creativo per i fatti della Terra di Mezzo (i primi racconti, poi pubblicati postumi nel Silmarillion, sono del 1914-15).

A quanto pare, erano stati pubblicato in una edizione degli Abingdon Chronicle, la rivista di una scuola privata cattolica nei dintorni di Oxford, e poi dimenticati fino al ritrovamento di una loro menzione in una delle innumerevoli note lasciate da Tolkien. Dopo qualche peripezia poco entusiasmante (la filologia non è decisamente avventurosa), si è recuperato il testo negli archivi delle Sorelle della Pietà (?). Pare si tratti di roba interessante.

“The Shadow Man” è il titolo del primo poema. Una sua successiva elaborazione era già stata pubblicata nel 1962, nelle Avventure di Tom Bombabil [1. Per chi non sapesse cosa regalarmi per il compleanno, questo è un buono esempio]. La storia tratta, grosso modo, di un Uomo Ombra, solo e incompleto finché non trovato da una donna, assieme alla quale, finalmente, può proiettare l’ombra anelata, in uno strano lieto fine romantico. Questi i pochi versi rivelati (mia traduzione in nota):

‘a man who dwelt alone/beneath the moon in shadow,’ who ‘sat as long as lasting stone,/and yet he had no shadow.’ When ‘a lady clad in grey’ arrives, he wakes, and ‘clasped her fast, both flesh and bone;/and they were clad in shadow.’ [2. per quel che vale la mia traduzione: ‘un uomo che dimorava solitario/sotto la luna nell’ombra’, che ‘sedette a lungo quanto pietra tenace/eppure non aveva nessuna ombra’. Quando ‘una donna vestita di grigio’ arriva, lui si sveglia e ‘la strinse veloce, carne e ossa;/e furono ricoperti dall’ombra’.]

Il secondo poema, Noel, è di tipico tema natalizio. Siamo in pieno inverno; Maria è il nome della protagonista (ehi, è per una scuola cattolica, dopo tutto). Le atmosfere sono tipicamente tolkeniane, e ricordano facilmente qualche brano dello Hobbit o dei Racconti Ritrovati:

‘The hall was dark without song or light,/The fires were fallen dead.’ [The lord of snow, whose] ‘mantle long and pale/Upon the bitter blast was spread/And hung o’er hill and dale.’ [3. Sempre da prendere con le pinze: ‘La sala era buia, senza luci o canzoni,/i fuochi eran morti.’ Il Signore della Neve, il cui ‘mantello lungo e pallido/sul vento pungente fu posato/[e] abbracciò collina e valle.’]

Tutto bello, insomma. Se non per il fatto che, come si è notato, sono stati mostrati meno di 15 versi: le due citazioni precedenti sono la totalità di quanto rivelato, non un mio estratto. I due poemi saranno presumibilmente pubblicati in qualche futura raccolta, o forse una revisione delle Avventure di Tom Bombadil, a giudicare dalle parole del corrente editore di Tolkien.

Non è sicuramente una novità. Negli ultimi decenni, e ancora più a seguito dell’enorme successo dei tre sei film, quasi ogni anno ci siamo ritrovati tra le mani una nuova pubblicazione con contenuti più o meno inediti, recuperati dalle migliaia di note e lettere lasciateci da Tolkien. L’anno scorso, per esempio, è stato il caso di  The Story of Kullervo, un racconto incompleto tratto da una leggenda finlandese; nel 2014 è stata pubblicata per l’ennesima volta la traduzione tolkeniana del Beowulf, con un paio di commenti aggiuntivi per distinguerlo dalle versioni precedenti; nel 2009 è stata la volta di The Legend of Sigurd and Gudrún, due poemi di tema norreno, e nel 2007 si era avuto I figli di Húrin. Si potrebbe continuare ad andare a ritroso nel tempo fino al caso prototipico del Silmarillion, con risultati sempre numerosi come per gli anni recenti.

Chi vuole insomma leggere Tolkien è costretto ad acquistare più libri di quanti ne pubblicano molti autori ancora in vita. Certo, il lascito di Tolkien è enorme, ed è pur sempre l’Autore del Secolo (come è titolato il saggio di Tom Shippey), ma a volte viene il dubbio se non si stia esagerando. Alcuni dei testi sono assolutamente riconoscibili come incompleti, come è il caso dei Figli di Húrin: non per nulla erano stati pubblicati inizialmente come capitolo del Silmarillion o all’interno dei Racconti IncompiutiRacconti Ritrovati.

Sicuramente, non si tratta (solo) di una strategia commerciale. Gli studiosi ed editori di Tolkien sono per buona parte i fanboy più dedicati, e adorano lavorare sui lasciti dell’autore che adorano. Non ho dubbi che l’obiettivo principale di tutte queste pubblicazioni sia dare ai lettori un prodotto quanto più vicino al progetto iniziale di Tolkien, completo e preciso. Certo è che, per l’appunto, diventa a volte difficile tenere il passo.

Speriamo solo che i due poemi in questione vengano rilasciati quanto prima, magari online.