Arrivare: moto a luogo o stato in luogo? Sulla grammatica scolastica e la sua inadeguatezza.

Mi è stata recentemente posta la domanda se arrivare sia sempre accompagnato da un complemento di moto a luogo, o se in certi casi vi possa anche essere un complemento di stato in luogo. D’istinto ho risposto che regge sempre un moto a luogo – ma è chiaro che, con l’istinto, in linguistica si fa poco. Cercherò quindi di darne una spiegazione formale il più semplice possibile, adatta in particolare a chi, tra i miei lettori, ha un background in linguistica limitato o nullo. E, allo stesso tempo, ne approfitterò per parlare della linguistica insegnata a scuola.

Premettiamo dicendo, innanzi tutto, che il dubbio è fondato. Come tante altre regole della grammatica scolastica italiana (estremamente datata e nozionistica), il riconoscimento dei complementi di luogo pone delle non indifferenti difficoltà operative, soprattutto quando si ha a che fare con libri di testo per la scuola media, generalmente poco chiari e con esercizi talvolta ridicolmente complicati. E gli esempi si sprecano: sapere che il moto a luogo risponde alla domanda Verso dove?, può essere utile per riconoscere il complemento in una frase come 1., mentre nella 2. non ha alcuna efficacia pratica e anzi produce una frase al limite dell’agrammaticalità (* indica una frase non grammaticale, ? una frase di dubbia costruzione).

  1. a. Luca è andato al mare.
    b. Luca è andato verso il mare.
  2. a. Luca è arrivato al mare due ore fa.
    b. *Luca è arrivato verso il mare due ore fa.

Senza nemmeno iniziare ad affrontare il discorso della preposizione: in casa contro a casa, similmente all’inglese to arrive at o to arrive in (tornerò, su questo, più tardi). O, ancora, degli usi figurati (mi sta arrivando il raffreddore) o colloquiali (Ci sono arrivato, alla risposta) del moto a luogo o di costrutti sintattici ad esso paragonabili. Si tratta, vale la pena specificare, di dubbi che inevitabilmente hanno anche gli insegnanti stessi, figurarsi i ragazzi. Pure io, con anni di linguistica (e una laurea) alle spalle, sono messo occasionalmente in crisi dagli esercizi dei libri di scuola.

Per risolvere il dilemma di arrivare, e altri analoghi, è necessario abbandonare la decrepita grammatica scolastica italiana a favore di modelli linguistici moderni. E non lo dico alla leggera: l’analisi degli argomenti è uno dei campi più scottanti della linguistica recente.

Ho usato il termine argomenti invece di complementi di proposito. I complementi non sono tutti uguali, inseriti nelle frasi come blocchi autonomi e analizzabili indipendentemente come ci vuole far credere la grammatica scolastica. Alcuni sono strettamente legati al verbo, modificandone ed espandendone il significato, mentre altri hanno un ruolo molto più superficiale e aggiungono informazioni alla frase senza di fatto toccarne il nucleo. I primi sono chiamati argomenti; i secondi aggiunti.

Le differenze tra argomenti e aggiunti sono numerose e molto discusse, sin dalla loro prima analisi negli anni 50 da parte di Tesnière (1959). È possibile che abbiate sentito parlare di valenza del verbo, di relazioni tematiche (agente, paziente, esperiente, …), o di ruoli theta: tutti concetti che derivano, in un modo o nell’altro, dalla sua trattazione. Si tratta di un tema molto complesso, a cavallo tra sintassi e semantica (e volendo pure pragmatica e lessico), che qui non ho lo spazio né il coraggio di affrontare. Basti sapere e ricordare che un argomento è necessario e contribuisce al senso del verbo, a differenza di un aggiunto.

Riconoscere gli argomenti/aggiunti, e possibilmente anche i ruoli tematici che esprimono, dovrebbe essere la prima abilità insegnata a scuola, non memorizzare decine di complementi e preposizioni. È assolutamente ridicolo, dal punto di vista di un linguista, che buona parte dei libri di testo nemmeno nomini la valenza verbale, e i pochi che lo fanno ne dedicano sì e no mezza paginetta (contro le 50+ per i vari complementi).

Può sembrare una lamentela fine a se stessa, ma così non è. Passare per il verbo è il primo, essenziale passo per comprendere che comporre una frase è un meccanismo tanto sintattico quanto semantico. Vale a dire: per scegliere dove e cosa mettere bisogna considerare i significati delle parole e come essi interagiscono tra loro. È inutile sapere a memoria che in, a, da, tra, su, verso, per possono introdurre un complemento di moto a luogo; quello che conta è sapere che il significato del moto a luogo è indicare la presenza di un movimento, e ancor di più che questo movimento dev’essere introdotto e collegato al verbo e/o ad altre parti della frase. Ed è l’assurdo delle domandine di prova che suggeriscono i libri di testo (a chi? verso cosa? per quanto tempo?): se si isola un complemento, è fin troppo probabile che diventi ambiguo e al limite del senso compiuto.

Tornando al nostro arrivare, possiamo innanzitutto affermare che il complemento di luogo che lo accompagna sia un argomento, e non un aggiunto. Due rapidi test ce ne danno conferma: il primo è che dev’essere sempre presente perché la frase sia grammaticale, come si può vedere in 3.

  1. a. La lettera è arrivata a destinazione.
    b. *L’uccello arriva.

È un argomento che ha un legame così forte con il verbo che anche nel caso in cui sia assente, lo consideriamo sottinteso, generalmente nella forma qui o , come in 4a e 4b.

  1. a. Quando Giulia arriva [qui], possiamo partire.
    b. Appena arrivi [là], telefonami o mi preoccupo.

Il secondo test è modificare la frase, inserendo il complemento in una relativa del tipo (cosa) che succede. Se la frase rimane grammaticale, allora è un aggiunto; altrimenti, un argomento. In 5b si nota come un complemento di tempo, con arrivare, sia un aggiunto, mentre quello di luogo, in 5c, un argomento (ricordo che l’asterisco indica agrammaticalità).

  1. a. Ivan arriverà a casa in cinque minuti.
    b. Ivan arriverà a casa, (cosa) che succede in cinque minuti. (aggiunto)
    c. *Ivan arriverà in cinque minuti, (cosa) che succede a casa. (argomento)

Il fatto che il complemento di luogo sia un argomento implica che sia strettamente collegato al verbo: è il verbo, quindi, che ne assegna il ruolo e ne gestisce il funzionamento.

È forse, a questo punto, già più chiaro dove sto andando a parare. Se è arrivare ad assegnare il ruolo tematico a quello che chiamiamo tradizionalmente complemento di luogo, allora dev’esserci, nel suo significato, qualcosa che descriva o, meglio, indichi se vuole un moto a luogo, da luogo, o stato in luogo. O, per dirlo in termini più formali, il verbo arrivare deve contenere le informazioni necessarie per associare a uno dei suoi argomenti il ruolo tematico di destinazione, sorgente o località.

Anche questo è un argomento molto discusso in linguistica, e i modelli che si propongono di descrivere e formalizzarlo sono numerosi, a seconda se si prediliga un approccio sintattico, funzionale, semantico, lessicalista e così via. Il mio sarà forse un parere di parte, ma considero il Generative Lexicon (Pustejovsky 1995) un ottimo punto di partenza.

In particolare, il GL propone che la struttura semantica di un verbo (e non solo) sia schematizzabile secondo tre livelli: struttura eventiva (il tipo di evento/i che descrivere e la relativa struttura), struttura argomentale (quali argomenti regge, riprendendo i concetti di valenza e ruoli tematici), e struttura dei qualia (descrizione del significato di una parola). Evitando di approfondire ulteriormente, propongo solamente lo schema di arrivare.

  • STRUTTURA EVENTIVA
    • e1 = processo
    • e2 = stato
    • Testa = e1
  • STRUTTURA ARGOMENTATIVA
    • ARG1 = x : essere/oggetto animato
    • ARG2 = y : luogo
  • QUALIA
    • Agentivo = e1 : atto di muoversi per raggiungere un luogo (x -> y)
    • Formale = e2 : aver raggiunto la destinazione (y)

Ho, in questo schema, raccolto tutti i tasselli del puzzle disseminati finora. Arrivare rappresenta un evento che è costituito principalmente da un processo (evento 1, o e1) e da uno stato (e2). Il primo evento è quello fondamentale per il significato, di default (testa), e che io ho definito come “atto di muoversi per raggiungere un luogo”. A questo segue poi lo stato di “aver raggiunto la destinazione”. I due argomenti sono, come si era detto, l’essere animato che compie l’azione (o un oggetto, nel caso di lettera) e il luogo di arrivo.

Ecco dunque che si spiegano i vari fenomeni legati ad arrivare che ci hanno lasciato in precedenza perplessi. In situazioni di default, il verbo rappresenta un processo, non uno stato, e il ruolo tematico che assume il secondo argomento è quello di destinazione (o, grossolanamente, moto a luogo). In effetti, il processo di muoversi per raggiungere un luogo è, per forza di cose, un moto, e il punto in cui il processo termina è la direzione verso cui il movimento è diretto. Negli esempi seguenti si può notare come degli aggiunti si riferiscano sempre al processo di muoversi, che ha una durata più o meno precisa e una conclusione.

  1. a. Arrivo a casa velocemente. (il processo è rapido)
    b. Arrivo a casa se non finisco la benzina. (il processo continua se non …)
    c. Arrivo a casa in cinque minuti. (il processo termina fra 5 minuti)

È inoltre interessante come una simile strutturazione formale ci permetta di spiegare anche casi in cui il processo viene messo in secondo piano, lasciando spazio allo stato o addirittura al luogo stesso. In 7, per esempio, la sostantivazione di arrivare promuove il luogo (tanto che in 7b è agrammaticale con un avverbio di tempo), mentre in 8 si indica più lo stato del processo (anche qui, con un avverbio di tempo la frase è mal costruita). Si noti anche come si può forzare la polisemia di arrivare in una frase come 8c, che ha anche il pregio di mettere in mostra come il processo sia lo stato default.

  1. a. L’arrivo è in via Valpolicella.
    b. *L’arrivo velocemente è in via Valpolicella.
  2. a. Ero arrivato stanco.
    b. ?Ero arrivato stanco velocemente.
    c. Ero arrivato velocemente e/ma stanco. (il processo è veloce, lo stato finale è stanco)

La frase 7 ci riporta, inoltre, al dubbio sulla preposizione che accompagna l’argomento. Qualche frase creata a puntino (provate a dirne qualcuna a mente) lascia intendere che si tratta di moti a luoghi sia nel caso di in sia nel caso di a: la differenza è se lo stato finale sia un punto preciso, o un’area più vasta e meno netta, o ancora se via sia un ingresso in una struttura (al supermercato contro in Cina contro in garage).

La risposta alla domanda iniziale si conferma, comunque, moto a luogo, ma non è ciò che mi premeva mostrare in questo (fin troppo lungo) articoletto. Piuttosto, spero di aver dimostrato come sia più che mai necessario superare la grammatica scolastica imperniata sulla memorizzazione di forme e strutture superficiali e superflue (come le liste di preposizioni per complemento o le domandine test). L’analisi logica si trova di fronte a limiti invalicabili proprio per la sua restrizione al mero campo della semantica delle parti della frase prese in isolamento: la complessità (e fascino) del linguaggio risiede, invece, nell’interazione continua tra semantica, sintassi, pragmatica, morfologia, e tutti gli altri livelli di analisi (chi studia una lingua straniera con i casi se ne accorge subito).

La soluzione è tanto semplice quanto di difficile attuazione. Ideale sarebbe buttare dalla finestra tutti i libri di grammatica scolastica, e riscriverli da capo. Finché non succede, è importante ricordarsi che la linguistica nasce dalla realtà, e sulla realtà ragiona: non è per nulla inconsueto per un linguista mettersi a rimuginare in un angolino, brontolando e cercando di capire con il proprio istinto di parlante nativo come sia strutturata una frase e tutte le sue minime sfumature. E se lo fa un esperto di linguaggio, non vedo perché si debba chiedere qualcosa di diverso a scuola.

Bisogna, in un certo senso, giocare con le parole. Se in Dalla finestra vedo i fiori si isolasse il complemento, si potrebbe pensare a un moto da luogo (magari “figurato”, che è la soluzione a tutti i mali). Eppure, *Dalla finestra vedo i fiori in cinque minuti è evidentemente agrammaticale o di poco senso; Dalla finestra comoda vedo i fiori senza bagnarmi mostra ben più chiaramente il significato di locazione (uno stato in luogo). E se a questo aggiungiamo l’intonazione o la comunicazione non verbale (un bel dito che indica la finestra), allora si inizia davvero ad apprezzare una della capacità umana più stupefacenti.

E, su tutto, bisogna iniziare a parlare di valenza verbale.