Alien: Covenant – O meglio, Alien: David (o David: Covenant? David: David?) [recensione]

Il vero protagonista.

Quando un regista torna dopo decenni a lavorare alla sua creazione, che nel frattempo ha vissuto vita propria, c’è sempre il rischio che abbia perso il tocco, dimenticandosi cosa davvero significava quel film, quali erano i suoi punti di forza e la sua storia, e che rovini completamente non solo le nuove produzioni, ma anche, di rimando, quelle vecchie. Questo fenomeno è solitamente chiamato “effetto George Lucas”, per ovvi motivi che non serve esplicitare (ci basti ricordare il prelievo del sangue per fare la conta dei midi-chlorian, e decidere il livello di Forza).

Alien: Covenant soffre sfortunatamente lo stesso fato.

Chiariamoci: non è un brutto film, se preso a se stante. È anzi un buon sequel di Prometheus, e a chi sono piaciuti i nuovi materiali (gli Ingegneri, il virus che crea gli Xenomorfi, la creazione e tentata distruzione della razza umana) farà piacere sapere che vengono ancor più sviluppati e approfonditi. Covenant non è, però, un buon film su Alien, ed è anzi estremamente irrispettoso nei confronti delle fonti originarie, rovinando la natura degli Xenomorfi, pasticciando la timeline originale, e in generale ignorando completamente i motivi del successo del franchise.

Partiamo, in ogni caso, dal positivo. Ridley Scott sa sicuramente come girare un film, e si vede. Musiche, fotografia, azione – la sezione tecnica è senza pecche, eseguita con competenza ed esperienza. Il film è forse eccessivamente buio, in particolare nei primi scontri con Alien, ma quando finalmente si è alla luce del sole, nel finale, gli occhi vengono premiati per la lunga attesa. È inoltre chiaro che Scott ha una idea precisa della direzione in cui vuole portare questa nuova trilogia, e se Prometheus sembrava, occasionalmente, inciampare su stesso, Alien: Covenant invece rimane saldamente sul binario (pur essendo il binario sbagliato – ma di questo discuteremo più avanti). Grazie a Covenant si riesce a spiegare e dare un senso a Prometheus, e comprendere dove si trova (probabilmente) il punto di aggancio con il vecchio Alien.

La visione di Ridley Scott splende soprattutto quando si osserva il quadro generale: la Covenant è una maestosa astronave colonizzatrice (una delle prime), la città degli Ingegneri è tanto spettacolare quanto intrigante, gli androidi (i “sintetici”) sono inquietanti come sempre. Come in Prometheus, e anzi ancor di più, i problemi iniziano quando si presta attenzione ai dettagli.

Per esempio, al fatto che nessuno indossa tute spaziali, o qualsiasi altro tipo di protezione.

Hey mamma, sono un vero Americano, mi porto un fucile su un pianeta alieno!

Esattamente come in Prometheus, il film si regge sulla stupidità e ignoranza dell’intero equipaggio di una astronave. E non si tratta di una piccola nave di contrabbandieri o rifugiati, ma di una enorme astronave colonizzatrice, che trasporta oltre duemila coloni ibernati e un numero imprecisato di embrioni. L’equipaggio è composto da professionisti, da esperti del proprio campo, eppure nessuno considera rischioso esplorare un pianeta alieno senza protezioni. Anzi, non proprio: portano con sé fucili automatici, perché qualcosa da sparare lo si trova sempre, immagino. Ma non tute. Come se La Guerra dei Mondi non ci avesse insegnato nulla. O anche solo il buon senso.

E questo è solo il primo dei numerosi problemi di sceneggiatura. Non voglio scendere nei dettagli per limitare gli spoiler, ma basti sapere che sono numerosi ed evidenti, e non è facile riuscire a raccogliere abbastanza sospensione dell’incredulità per proseguire la visione. Si hanno anche numerose scene tipiche da film horror, che Alien era riuscito sempre, più o meno, a evitare, e che qui non hanno alcuna sostanza e sono anzi talmente ovvie da non fare alcun effetto (cattivo allunga la mano verso un coltello, fine improvvisa della scena – cosa sarà mai successo?).

Laddove la sceneggiatura riesce a mantenere un filo coerente, in particolare quando segue i temi introdotti in Prometheus, vengono a galla problemi di altro tipo, che danno quasi l’idea che ci sia stata una disconnessione continua tra Ridley Scott e i vari sceneggiatori. Per esempio, pur chiamandosi Alien: Covenant, nel film non si vede un singolo Xenomorfo (o uova o facehugger) per l’intero primo tempo: quando la schermata dell’intervallo interrompe il film, non si può fare altro che guardarsi attorno sconcertati, erosi dal dubbio di aver sbagliato sala – per riferimento, in Alien si incontrano le uova dopo 30 minuti su 120 totali, e lo Xenomorfo dopo 55. E il secondo tempo continua questo trend, dando buona parte dello spazio sullo schermo a David, l’androide.

Non che la parte di trama che coinvolge David sia noiosa, anzi. Tratta temi cari alla fantascienza, e in particolare il rapporto tra creatore e creazione, reiterato più volte nei due prequel: gli Ingegneri e la vita sulla Terra (la scena iniziale di Prometheus), Peter Weyland e David (la scena iniziale di Covenant), umani e sintetici, Xenomorfi/virus e forme di vita indigene. Chi ha apprezzato il tentativo di Prometheus di approfondire e spiegare questi argomenti, sarà contento di sapere che Covenant prosegue sulla falsariga. Chi invece si aspettava un film su Alien, sarà decisamente deluso.

Il centro focale del film è David.

I suoi desideri, i suoi obiettivi, le sue decisioni.

Tutto questo tempo speso con l’androide comporta, inevitabilmente, tagli da qualche altra parte. Chi ne fa le spese, in buona parte, sono i membri dell’equipaggio. Alien è sempre stato un passo avanti per quanto riguarda i personaggi, e ogni singola morte aveva un peso non indifferente. In Covenant, l’equipaggio è talmente poco approfondito che perderne pezzetto dopo pezzetto lascia completamente indifferenti. Ed è sicuramente un peccato, soprattutto se si considera che su youtube sono presenti numerosi video (come questo) che mostrano i vari membri dell’equipaggio in momenti precedenti al film, in una sorta di prologo virtuale. Quando i personaggi del tuo film sono approfonditi più su youtube che nel film stesso, direi che qualcosa non quadra.

Questa scena NON è nel film, ma nei video promozionali su Youtube.

La situazione è ancor più aggravata dal fatto che l’equipaggio è formato da coppie. Immagino che potrebbe aver senso inviare in una missione colonizzatrice persone pronte a iniziare una famiglia e “mettere radici”, ma si tratta dell’equipaggio, non dei coloni, e non si capisce bene quale sia il motivo di una scelta simile. In ogni caso, il coinvolgimento romantico dovrebbe farci percepire come ancora più grave una perdita (un altro archetipo tipico degli horror), ma di fatto non succede mai, perché a fine film si è ancora impegnati a cercare di capire chi stava con chi, e quale era la coppia gay, e chi voleva costruire uno chalet in legno sul lago e chi invece si divertiva sotto la doccia – figurarsi compiangere la morte con il consorte sopravvissuto.

E, dopo tutto questo, resta ancora il problema di come questo film distrugga completamente la mitologia degli Xenomorfi, più di quanto aveva già fatto Prometheus. Fan di Alien non potranno che sentirsi infastiditi, forse addirittura traditi, da come Covenant stravolga completamente quanto visto finora. Il paragone con i prequel di Star Wars che avevo suggerito a inizio recensione non è irreale: l’unica grossa differenza è che Ridley Scott sa come girare un film, cosa che di certo non si può dire di George Lucas.

Il voto finale è, dunque, estremamente difficile da assegnare. Da una parte, Covenant è un mediocre sequel di Prometheus, con alcuni interessanti spunti e un paio di affascinanti temi proposti e discussi; dall’altra, Covenant è un terribile prequel di Alien, che dimentica completamente ciò che aveva reso i vecchi film così indimenticabili. Se nel primo caso si potrebbe arrivare a un sei pieno, nell’altro l’insufficienza è inevitabile.

Il film si intitola però Alien: Covenant, non Prometheus 2 (o David: Covenant).

Voto finale: 5.5/7